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I discesisti a Rovereto - speciale1



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Nel mondo dello sport ci sono personaggi che riescono a concentrare su di se le simpatie di tutti gli appassionati, a prescindere da campanilismi o preferenze varie. Uno di questi è senza dubbio Kristian Ghedina, storico simbolo del discesismo azzurro che si sta preparando ad affrontare la sua ultima stagione sugli sci.
«Sì, diciamo che al 99% questa è la mia ultima stagione; ormai gli anni iniziano a pesare e mi accorgo che il fisico non risponde più come vorrei. Ogni secondo giorno di allenamento è una tragedia: muscoli che fanno male, vecchi acciacchi che tornano fuori, insomma, non è più così semplice stare al passo dei giovani. Ma il trovarsi le Olimpiadi in casa mi dà ancora gli stimoli giusti per continuare».
Una carriera ricca di soddisfazioni: 13 vittorie in Coppa del Mondo, coppette di specialità più volte sfiorate, 3 medaglie ai mondiali; gli stimoli vengono proprio dall’unica grande assente, la medaglia olimpica. «Verissimo, quella mi manca e ammetto che è proprio per questo che vado avanti. Il problema è che ogni anno che passa gli altri vanno sempre più forte: Walchhofer, Miller, Maier, Rahlves sono dei fenomeni e per mettermeli dietro devo ormai trovare la giornata perfetta. Magari riesco a trovarla a Torino: la pista del Sestriere mi ha già regalato una medaglia (bronzo ai Mondiali del ´97); il tracciato tutto sommato mi piace e se ci fossero le giuste condizioni di visibilità...Per la coppetta è dura: purtroppo per un vecchietto come me riuscire ad andare forte tutto l’anno è quasi impossibile, la voglia ci sarebbe ma il fisico non sempre è d’accordo, alla fine molto dipende da come inizio la stagione, con le prime gare in America».
Nell’ultima stagione la vittoria è sfumata per un pelo sulla Kandahar di Chamonix per colpa di quel Johann Grugger che ha preceduto Kristian di pochi centesimi. Ma nella memoria collettiva resta impressa l’immagine del capriolo in Val Gardena, intrufolatosi chissà come tra le reti di protezione, quasi a voler salutare il vero padrone della "sua" Sasslong, nel timore di non rivederlo più sfrecciare tra il Ciaslat e le Gobbe del Cammello; da quel giorno è diventata la nuova inseparabile mascotte del cortinese.
Anche questo ha contribuito a render Kristian sempre più apprezzato agli occhi di tutti: francesi, americani, svizzeri, tedeschi e persino austriaci, ancora in visibilio per la spaccata a cento all’ora messa in mostra sul salto finale della mitica Streif di Kitzbuhel, davanti a 50 mila persone.
«In Austria sono amatissimo, mi considerano uno di loro. E ritrovo lo stesso affetto dappertutto, la cosa mi fa grande piacere e a volte mi domando io stesso il perchè di tanto attaccamento. Credo sia merito del mio carattere: guascone quando serve ma anche capace di non montarmi la testa. Sono sempre rimasto lo stesso, disponibile a ricevere complimenti e critiche ma anche capace di isolarmi nei momenti di maggior nervosismo, quando dovevo ritrovare la tranquillità interiore. In quei momenti ho sempre cercato di evitare la polemica con giornalisti o allenatori, ho pensato ai fatti miei e credo sia proprio questo che ha contribuito a farmi ben volere da tutti».
Ha le idee chiare Kristian, e da saggio montanaro tiene aperta più di una porta a quello che sarà il suo futuro.
«La speranza è quella di riuscire ad entrare nel mondo dei motori, altra mia grande passione. Per anni ho gareggiato con le moto ma ho sempre finito col farmi male, quindi meglio le auto, più sicure! Ho già avuto modo di testare una F3000 ad Imola grazie alla Red Bull e l’esperimento è andato bene. Iniziare a gareggiare non è semplice, servono molti soldi e di conseguenza devo trovare qualche sponsor. Non c’è ancora niente di sicuro...e se il progetto dovesse fallire, spero di restare nell'ambito della nazionale. A breve otterrò il patentino di allenatore e magari un posticino me lo trovano con i ragazzi o coi più giovani.» di Luca Perenzoni
(lunedì 4 luglio 2005)



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