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TdG - Guglielmo Bosca, step in atto
di Luigi Grasscutter

Guglielmo Bosca, velocista, C.S. Esercito, classe ´93, sta vivendo la sua seconda vita sportiva, considerata la gravità dell’infortunio occorsogli nel 2017, ed il secondo stop per infortunio di tre anni dopo.

In questa stagione ha già ottenuto il suo miglior risultato in carriera in Cdm, 21esimo nel super g della Val Gardena.

Lo abbiamo sentito, ed ecco quello che ci ha raccontato.

Per cominciare, come stai fisicamente? È stata molto dura dal 2017 ad ora...
Fisicamente non sto ancora come vorrei, ma è normale dopo 10 mesi dall’operazione al ginocchio destro, che non era messo bene. Riesco comunque a gestirmi con aghi, pastiglie, cerotti…Non è semplicissimo sciare, ma tutto sommato va abbastanza bene. Devo conviverci, fino ai 12 mesi dopo l’infortunio, e ne sono passati solo 10, bisogna stargli dietro: menisco, crociato, io me l’ero immaginata più semplice...
A livello tecnico sciisticamente mi sento bene, a volte mi condiziona un po’, ma va bene così.

Guglielmo, Prima del primo infortunio, quello del 2017, sembravi sul punto di fare uno step importante. Quanto è stato difficile rimandarlo e stare giù con la testa, nell’incertezza sul tuo futuro da atleta?
Il 2017 era un anno che mi proiettava a grandi livelli, avevo 24 anni, ero, se vogliamo dir così, il giovane emergente, c’erano in prospettiva le Olimpiadi tra l’altro, il mio impegno era massimo in ogni senso.
È stata molto dura e lunga, soprattutto a livello clinico, e ciò mi ha distolto dalla durezza di essere forzatamente lontano dallo sci e dalle gare. Ero più che altro impegnato a salvarmi la gamba, ed ero molto motivato. Ho dato tutto me stesso nel percorso di guarigione, fin dal principio, sentendomi il mio primo dottore. Sono tornato alle gare esattamente due anni dopo, ma dopo 14 mesi avevo già ricominciato a sciare. Diciamo che il primo infortunio è stata una roba talmente grossa che è stata una sfida assoluta, una prova di forza che mi ha impegnato totalmente. All’ospedale di Schladming, tra le altre cose, mi parlavano di Hermann Maier, e di come fosse riuscito a tornare a camminare prima, e a vincere in Cdm poi...

Quello step che non hai potuto fare già nel 2017 ora mi pare in atto. Come valuti la tua stagione fino a questo momento?
Per rispondere, occorre fare una premessa. Dopo il secondo infortunio del 2020, quello al ginocchio, ho ricominciato ad allenarmi davvero solo a novembre.
Fin da subito, in allenamento mi sono trovato bene, ero veloce, ma in Cdm le cose non sono state facili, una cosa è l’allenamento, altra cosa sono le gare.
Ero contento, ma non ero costante in gara, facevo buoni parziali, altri no.
Devo dire che ho analizzato il rientro in gara di molti atleti dopo un infortunio simile al mio, e ho constatato che per quasi tutti è stato molto difficile rientrare, ad eccezione di fenomeni come Svindal e Kilde, ma per loro è diverso per molte ragioni, tra cui bisogna considerare che conservando il pettorale basso è forse più facile.
In Val Gardena stavo andando bene, ero nono in alto, poi ho sbagliato in basso e ho chiuso 21esimo.
Da atleta penso solo agli obiettivi ma, ragionandoci a mente fredda, è stata finora una buona stagione.

Quanto è difficile allenarsi nelle veloci? Non essere potuti andare in Sud America ha creato problemi? È vero che è stato uguale per tutti, però…
Allenarsi nelle veloci, come ben sai, è sempre complicato, in primo luogo per ragioni di sicurezza, ma la cosa più difficile è riprodurre in allenamento le piste di Cdm, perché le piste di allenamento non si avvicinano mai per contenuto tecnico a quelle di Cdm. La pista di Copper, ad esempio, è bellissima, ma anche questa ha poco a vedere con le piste che si trovano in Cdm, troppe le differenze: neve, salti, dossi…
Quello che serve in DH in allenamento è la tranquillità di provare le piste di Cdm, in super g meno, perché è specialità differente, contano improvvisazione ed istinto, cose che fai fatica ad allenare.

Cosa consiglieresti ad un giovane o giovanissimo di talento che mostra disposizione per le veloci?
In generale in super g anche da giovane puoi farcela.
In DH ovviamente no, l’esperienza, intesa in senso ampio, conta troppo…
Per la mia esperienza, posso dirti che io quando ancora non ero nemmeno in squadra avevo fatto bene in Coppa Europa, ed avevo esordito a Kitz in Cdm grazie ai buoni risultati nel circuito continentale.
Mi ricordo che Max Carca durante la ricognizione mi aveva detto ‘frena qui…frena in quest’altro punto’ ed io ci ero rimasto male perché non capivo perché mi dicesse di frenare…poi in gara l’ho capito. Aveva ragione lui.

Quanto conta l’allenamento in gs, e più in generale il bagaglio tecnico nelle curve da gigante?
La storia agonistica dei forti parla chiaro: Paris, Inner, Casse, Marsaglia, Fill, prima di loro Ghedina, e in generale i più forti velocisti austriaci, svizzeri, norvegesi, etc: tutti con bagaglio tecnico importante in gs.
Il gs conta tantissimo, tutti i più grandi campioni sono stati fortissimi anche in gs.
Il gs è imprescindibile.
Io penso che per valere una top 30 nelle veloci il gs sia davvero importante.
Va bene anche solo l’allenamento, ma qualcosa bisogna per forza fare in gs, altrimenti è molto complicato. Se devo fare un numero per esemplificare, occorre valere almeno i primi 150 del ranking di gs, molto meglio se ci si avvicina al 100, meglio ancora se si vale uno dei primi 100 posti del ranking, anche se poi di fatto non fai gare e non ci sei.
Il gs devi comunque saperlo far bene, io nasco gigantista, e puntavo tutto sul gs, è stato allora che ho capito  che forse potevo combinare qualcosa nello sci, proprio  pensando al gigante.
Ricordo una gara di gs a La Thuile nel 2012, partivo col 63 ed arrivai in top 15. Anche Kristoffersen corse quella gara, aveva pettorale 23 e fece top 10 o giù di lì…

Cosa fai nel tempo libero? Come ti piace passarlo?
Mi piace molto la fotografia. Mi ci dedico soprattutto da quando ho finito l’Università, anche per la cantina vinicola di famiglia. Mi piace il tennis, il beach-volley, il surf…Mi piacciono tutti gli sport!

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