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Kelly,Emily,Britt e la beneficenza. Riflessioni...
di Luca Perenzoni

Sarà l'atmosfera olimpica che inizia già a pervadere il Canada, sarà per uno stato di salute sempre crescente degli atleti canadesi, sarà per un'altra serie di coincidenze ma il mondo della neve nella repubblica nordamericana è in notevole fermento. Si è appena spento l'eco del doppio week-end di gare a Lake Louise ed ecco che sui media del nuovo continente rimbalzano di continuo notizie, notiziole e spunti centrati sugli interpreti dello sci alpino. Talvolta per motivi prettamente sportivi, come per raccontare della vittoria di Manuel Osborne Paradis nella prima discesa NorAm dell'anno disputata nella notte proprio a Lake Louise, altre per motivi più propagandistico/pubblicitari ed è il caso del trio di donzelle targate Canada Kelly Vanderbeek, Emily Brydon e Britt Janyk che subito dopo le prove di Lake Louise sono state nominate ambasciatrici di "Right to Play", l'associazione benefica che si preoccupa di rendere meno duro il presente (ed in un certo senso anche il futuro) dei bambini dei paesi del Terzo Mondo.
In tutta risposta le tre hanno deciso di devolvere immediatamente i compensi di tutte queste gare nordamericane (compreso il premio-podio della Janyk) in attesa di poter dare un ulteriore contributo.

Di certo non una novità per il circo bianco, visto che nei mesi scorsi un altro celebre terzetto aveva abbracciato la causa dello sport per beneficenza: Julia Mancuso, Resi Stiegler e Chemmy Alcott hanno già dato la loro disponibilità per uno stage lavorativo in Africa nella prossima estate, in modo da dare una mano sul campo a bambini decisamente meno fortunati. Azioni nobili, a cui se ne accompagnano molte altre, alcune pubblicizzate, altre meno. E' in ogni caso incontestabile come azioni di questo tipo facciano bene al prossimo, alla coscienza dello sportivo ma per indotto anche all'immagine degli stessi atleti e dello sport in sè: si sa per certo che molti atleti azzurri sono impegnati in campagne di sensibilizzazione di simile portata ma spesso tutto passa sotto silenzio, anche e non ultimo per volere dello stesso atleta. Una scelta assolutamente condivisibile (non sempre è vantaggioso urlare ai quattro venti le proprie azioni, a maggior ragione se nel campo della beneficenza) ma una piccola riflessione suggerisce che forse il rilancio in termini di immagine della stessa Fisi (in fondo dal punto di vista sportivo non se la cava malaccio, anzi) possa passare anche da un potenziamento di simili iniziative. Mosse praticamente a costo zero, ma capaci di suscitare (con un minimo di appoggio dei media, talvolta sordi a quanto si muove nel mondo extra-calcistico) reazioni indubbiamente positive con inevitabile buona pubblicità per l'intero movimento. E chissà mai che con l'occasione qualche sponsor non si innamori...

Un discorso che, senza voli pindarici, si potrebbe ricollegare a quello relativo al merchandising: c'è chi sussurra che la nazionale a stelle e strisce si ripaghi di gran parte delle spese invernali dei propri atleti con il ricavato delle vendite di prodotti griffati USSA. Non vogliamo credere (come sostiene qualcuno) che tali introiti pareggino le spese di gestione di sei mesi trascorsi in Europa, ma sicuramente rappresentano una voce importante nel bilancio federale. Si sa, in uno sport sempre più votato alla spettacolarizzazione l'immagine è tutto, anche e soprattutto in un paese come gli States in cui lo sci alpino non è senza dubbio uno dei volani principali dell'azienda sportiva: e in Italia?
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